GREENWASHING: un marchio una sicurezza? continua l’etichetta poco corretta
Ancora una volta andiamo a scoprire come l’etichetta è poco corretta. Questa volta prendiamo lo spunto dalla www.communicationresponsable.fr, dove simpatiche osservazioni ci fanno capire quanto sia facile prendere in giro i consumatori. La scrittrice e blogger francese Yonnel Poivre-Le Lohé,ha scritto un libro sul “greenwashing” dal quale prendiamo qualche riflessione per aiutare a far riflettere i nostri lettori, sull’importanza di informarsi su cosa mangiamo.
Innanzitutto cos’è il greenwashing. Wikipedia ci da questa definizione:
“un neologismo che indica l’ingiustificata appropriazione di virtù ambientali da parte di aziende, industrie, entità politiche o organizzazioni.” In altre parole ” come molti brand cercano di essere più verdi di quanto siano in realtà.”
Uno dei primi esempi tratta proprio di prodotti alimentari, di una marca che in Italia non credo sia molto conosciuta. Nel caso specifico la scrittrice si riferisce al claim “PROVAMI!”, che spesso troviamo su tante confezioni.
Lo definisce ” un classico errore, comune alla maggior parte dei casi di greenwashing. Questo slogan infatti non produce alcuna prova ma non è che una mera visione artistica di eventuali benefici ambientali. “Quando si definisce un prodotto verde, si spiega il perché con una serie di informazioni precise a supporto che possano essere verificabili. Il prosciutto o la zuppa dell’azienda Herta, si vantano di essere “100% naturali” senza alcun problema. Perché? Perché indubbiamente prosegue l’articolo, l’ufficio legale dell’azienda ha provveduto ad incorniciare bene il prodotto ed a proporlo senza incorrere in sanzioni dal momento che alla parola “naturale” non corrisponde alcun vincolo specifico. Ma “naturale” rispetto a che? Cos’è naturale? Anche l’arsenico è naturale. Chi garantisce il naturale e su quali basi? Il tutto resta nel vago e l’unica cosa che va a sottolineare la differenza tra lo slogan e la realtà del prodotto è il sottovuoto industriale, non criticabile, ma che comunque lascia capire l’incompatibilità tra il prodotto ed un certo valore aggiunto ecologico. Comunque l’azienda ha tolto il claim.
Il tuo prodotto è naturale? Dimostramelo!
L’altra osservazione che vogliamo proporre alla vostra attenzione, riguarda la “falsa immagine” quella che in modo più evidente fa capire l’incapacità di comunicare o la manipolazione nel farlo in un certo modo.
Fiorellini, campi verdi, immagini della natura? Tutto falso, ecologia zero! Gli esempi abbondano a partire da McDonald che con il logo a fondo rosso a verde vuole comunicare la sua impronta ecologica, quando il marchio stesso è incompatibile con l’ambiente:. E’ un modello di sviluppo basato sulla moltiplicazione dei punti vendita (vale a dire spreco di risorse), si trova alla periferia di quasi tutte le città (incoraggiando così l’inquinamento automobilistico ed inoltre osservate come le loro confezioni “rispettano” la natura). Ciibi grassi, troppo salati, troppo dolci e di scarsa qualità, il gusto standardizzato (ecologia è anche il rispetto per le culture locali, per il suolo); effetti innegabili sulla epidemia di obesità, il mancato rispetto della stagionalità dei prodotti, condizioni salariali ancora discutibili con McJobs (part-time, bassi salari, ecc) e soprattutto l’attrazione insostenibile dei bambini per un modello culinario pericoloso.
Tanti altri sono i riferimenti di false comunicazione che riguardano detersivi, sigarette “ecologiche”, auto. Vi consigliamo la lettura per sorridere e riflettere.